domenica 2 agosto 2015

Un nuovo giuramento (7)

Era notte fonda quando arrivarono a destinazione. La falce della luna illuminava appena il minuscolo rifugio tra gli alberi. Quattro pareti di legno muffito con una porta su un lato e una sporchissima finestra su un altro. Il tetto era di paglia fradicia piena di buchi e su una delle estremità giacevano i resti di quello che doveva essere stato un camino.

Tutto intorno alla capanna, il terreno era pieno di erbacce, ortiche e gramigne. Solo in un punto, accanto alla parete est, cresceva una macchia verde punteggiata di bianche margherite, sovrastata da una stele di roccia grigia. Doveva esserci qualcosa inciso sopra, ma le lettere erano state mangiate dalla muffa.

Arktos si accostò alla pietra e ne strinse la sommità con una mano. «Qui é dove sono cresciuto, insieme a mio padre.», disse poi, togliendosi il cappello. La luce della luna si rifletteva sul suo cranio calvo. «Come puoi vedere, persino gli dei si sono dimenticati di questo posto. Nessuno ci cercherà qui.»

Ad Atalanta pareva impossibile che un simile gigante fosse cresciuto in una casa così piccola. «Perché dovrebbero cercare te?». Lei aveva azzoppato un uomo fuori da una taverna e si era infiltrata nel palazzo reale, cosa che si guardò bene dal rivelare. Ma Arktos? Chi avrebbe dovuto cercare un bestione come lui?

«Prima entriamo e accendiamo un fuoco, ragazzina. Sto gelando.».

Atalanta si era completamente dimenticata della clamide che la ricopriva, perciò obbedì, tentando di reprimere la sua diffidenza. Ad ogni buon conto, si tenne il suo pugnale ben stretto in mano.

La porta si aprì con un cigolio sinistro e immediatamente si sentì lo squittio di un pipistrello che si dava alla fuga. Un forte odore di muffa ed escrementi animali investì Atalanta appena entrata, tanto che fu costretta a trattenere un conato di vomito. 

«Avrei dovuto prendermene più cura. L'ultima volta che sono stato qui, avevo ancora i capelli.», commentò Arktos nell'oscurità, il tono di voce sempre apatico. 

Iniziò ad avanzare a tentoni, raccogliendo qualcosa da terra lungo il tragitto. Atalanta invece non si mosse, un po' perché lottava ancora contro la nausea, un po' perché non sapeva dove mettere i piedi. Poi sentì un paio di stridenti ticchettii provenire dalla sua destra e rapide scintille vennero ad illuminare come lampi la faccia barbuta di Arktos. La terza scintilla si trasformò in un piccolo falò lì dove c'era il camino. Arktos aveva dato fuoco alle gambe marce di una sedia, provocando così un fumo denso e acre. Ma almeno adesso ci vedevano e potevano riscaldarsi le membra.

L'interno della casa era ancora più cadente dell'esterno, notò Atalanta. Le mattonelle del pavimento erano tutte crepate, e in qualche punto si erano anche infiltrate delle ortiche. Il legno alle pareti sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro, ma non prima del tetto, che continuava a perdere pezzi ad ogni folata di vento. Addossato alla parete opposta al camino, c'era un giaciglio con un materasso bitorzoluto. Le tarme avevano lasciato stralci di una coperta di lana, resa dalla polvere dello stesso colore di tutto il resto. Ai piedi del letto - se così si poteva definire - stava riverso uno sgabello bucherellato dalle termiti. Infine, al centro della stanza stavano ammucchiati i resti marciti di un tavolo, a giudicare dalle poche assi integre rimaste. 

«Ne farò uno nuovo.», comunicò Arktos ad Atalanta, che si era avvicinata alla massa informe di legname. «E lo tratterò meglio di quanto ho fatto con questo.»

La ragazza lo raggiunse davanti al fuoco. Guardandolo sempre di sottecchi e mantenendo una certa distanza, gli restituì la clamide. «Perché mi hai portato qui?», chiese finalmente al colosso quando si riappropriò della sua mantella.

«Te l'ho detto. Qui saremo al sicuro. Nessuno sa di questo posto da molto tempo, e...»

«Voglio dire, perché mi hai detto di seguirti?», spiegò nervosamente Atalanta. «Prima mi impedisci di uccidere Neleo. Poi mi dici che sei l'unico a potermi dare la mia vendetta. E infine mi porti qui. Voglio sapere perché! Chi sei tu, per Zeus?!»

Arktos si spostò dal camino al giaciglio sbilenco. Con una manata si liberò degli stracci che lo ricoprivano e si sedette. Il giaciglio protestò sotto il suo peso. «Prima di tutto, non avevi alcuna possibilità di uccidere Neleo. Ti saresti fatta scoprire da qualcuno meno gentile di me e adesso non staremmo qui a parlare. Qualche dio deve averti preso in simpatia, ragazzina, se ti ha fatto incontrare proprio me.»

Atalanta incrociò le braccia, poco convinta. «Davvero? E perché?»

Il fuoco del camino si rifletteva nelle pupille nere di Arktos. «Perché io e te vogliamo la stessa cosa.»

Continua...

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