domenica 13 dicembre 2015

La foresta dei morti

Per molto tempo, solo il rumore della sterpaglia scricchiolante venne a rompere il silenzio che era calato sui tre viandanti. Il contadino, ad un certo punto, decise di dare inizio a un fischiettio alquanto irritante, che tuttavia non sembrava infastidire Thalia. Per un attimo, Altea ebbe il sospetto che si fosse addormentata con la faccia affondata tra i gomiti. Finché non la sentì tirar su forte col naso.

«Di solito gli schiavi liberati festeggiano, cantano, ridono. Non ne ho conosciuti molti, a dire il vero, ma immagino che nessuno apparirebbe così disperato.» 

Thalia singhiozzò ancora. E ancora. Al terzo singhiozzo, Altea si alzò, instabile sul carretto in movimento e, scavalcando il sedile, andò a raggiungere la ragazza nel vano posteriore.

«Sono qui per aiutarti, Thalia. Ma se non parli, non c'é modo che io ci riesca.»

A poco a poco, lentamente, la massa di ricci neri fece spazio a un viso rosso e rigato di lacrime. «Liberami, mia signora.»

«Sei già libera.»

«Da questo!» Thalia si artigliò la pancia con una specie di ringhio. «É il solo aiuto che voglio.»

"La ragazza é più tenace di quanto non appaia." pensò Altea. «Non ci hai già provato da sola?» Con gli occhi indicò le ferite alle braccia, che prontamente Thalia celò, serrandole contro lo stomaco. Davanti alla regina, Altea aveva finto di non notarle, ma adesso era inutile continuare a tacere. Se doveva occuparsi di quella ragazza, dovevano fidarsi l'una dell'altra. Ciò significava che la sacerdotessa doveva sapere di cosa la sua nuova protetta era capace.

Ma Thalia si chiuse di nuovo nel suo mutismo e non rispose. Evidentemente non era ancora arrivato il momento delle confidenze.

Altea appoggiò la schiena contro le pareti del carretto, si riordinò la crocchia di capelli grigi e scacciò una mosca dal suo velo immacolato. «Tu credi agli dei, Thalia?»

«Quali dei?». C'era un sarcastico astio nel tono della risposta.

«Quelli di cui poi udire la voce. Tutti possono sentire la voce degli dei, anche se i più non sanno ascoltarla. Non la riconoscono e la ignorano come farebbero con fastidioso ronzio di una mosca. Tu sai di cosa parlo, non é vero?»

«Io sento solo demoni, mia signora, e dei più mostruosi.». Di nuovo gli occhi di Thalia si fecero lucidi.

Altea invece sorrise, per nulla impressionata dai toni macabri della ragazza. «Oh, ai demoni piace giocare con le menti umane. Rabbia, Paura, Vendetta, sono figlie delle tenebre, le puttane di Ares il Distruttore, e urlano per sovrastare le voci dei Celesti. Ma é dietro questi strepiti che troverai la verità». La sacerdotessa si avvicinò a Thalia, tanto da poter fissare lo sguardo nel suo. «Perché sei arrabbiata? Di che cosa hai paura? Di chi vuoi vendicarti?»

Thalia guardò in basso. «Per colpa di questo bambino ho perso tutto.»

C'era ancora tanto che non diceva, ma non aveva importanza. «Sbagliato. É grazie a questo bambino che hai guadagnato tutto. La vita, la libertà ti sono state garantite grazie a questo bambino.»

Adesso Thalia la guardava come se avesse davanti una pazza. Non era la prima volta che le capitava, ma Altea non demorse. «Ancora non capisci, ragazza mia? Perché credi che i demoni ti riempiano la testa di pensieri nefasti, se non per spingerti a liberarti di un dono? É questo ciò che fanno: rendono gli uomini ciechi alle opportunità, li portano a disprezzare i doni che hanno e quando non é rimasto più niente da togliere, si impossessano della loro anima e li controllano come marionette.»

«Perché mi dici questo? Tu non mi conosci. Non sai niente di me!»

«So quanto basta.». Altea prese Thalia per un polso e la costrinse a stendere il braccio e a mostrare le ferite. «Qualunque altra donna nelle tue condizioni sarebbe morta, o almeno avrebbe perso la sua creatura...»

«Non é una mia creatura!», ribatté Thalia rabbiosa, ritirando il braccio.

Altea espirò forte, allargando le narici come le froge di un cavallo. «Rispondimi, allora: come é possibile che questo bambino sia sopravvissuto nonostante i tuoi tentativi di distruggerlo?»

«Non lo so.», fu la risposta, accompagnata da uno sguardo di sbieco.

«Gli dei lo sanno, invece.» Finalmente Altea poté tornare ad appoggiare la schiena al carretto, proprio mentre Dioneo guidava i muli sulla soglia di una foresta.

Il cielo si era d'improvviso oscurato. Thalia sollevò il viso per godere un po' della frescura regalata da platani e querce. Ma non vide rami frondosi agitati dal vento. Tutto era bianco e livido, lì dove doveva esserci il verde. Gli alberi c'erano, anche se dai loro rami non penzolavano liane, ma ossa umane, che emettevano un macabro ticchettio ad ogni folata. Le cortecce erano ricoperte di teschi, mani e piedi ossuti, resti polverosi di quelli che una volta dovevano essere uomini, donne, forse anche bambini. Cadaveri antichi sorridevano ai tre sul carretto da ogni parte. 

domenica 29 novembre 2015

Libera (7)

Il cortile sud del palazzo riecheggiava del latrato di tanti cani che si avventavano sulle cosce di montone brandite da Arkil. Lo schiavo si agitava terrorizzato tra quelle bestie fameliche e alla fine fu costretto a gettare loro tutta la carne del vassoio, temendo che i suoi polpacci finissero in qualcuna di quelle fauci. 

Eeta guardava la scena compiaciuto e divertito. Si accarezzava la barba intrecciata e annuiva. «Devo dire che hai fatto un ottimo affare, mia cara. Sono delle bestie magnifiche, snelle, agili, dal manto lucido e il carattere vivace.»

«Sono lieta che ti piacciano, mio signore.». Idia gli stava accanto, molto meno divertita dalla scena. 

«Dodici cani per una sola schiava. Un prezzo più che generoso. Ma dimmi, a cosa devo un regalo tanto gradito?». Eeta adesso squadrava la sua sposa da capo a piedi. I latrati erano cessati, si sentiva soltanto il rumore della carne strappata e delle ossa frantumate dalle mascelle canine.

Idia sfoderò il suo sorriso più affabile. «Una donna deve forse avere un motivo per compiacere il suo sposo?».

«Certo che no, mia cara.» Eeta portò una mano dietro il collo di Idia e le avvicinò il viso fino a baciarle la bocca. Continuò a sorridere anche mentre le sue dita cominciarono a tirarle i capelli dietro la nuca. «Ma non osare mai più privarmi di un mio giocattolo, o farai la fine di quel montone.», la minacciò. 

Idia emise un grugnito e sentì le lacrime salirle agli angoli degli occhi. Riuscì comunque ad annuire e solo allora il re la lasciò andare soddisfatto.

«Una muta davvero magnifica», commentò Eeta ad alta voce, per poi voltarsi e sparire nei meandri del palazzo.



Idia piangeva, massaggiandosi il collo. Eppure non si era mai sentita tanto sollevata.

domenica 15 novembre 2015

Libera (6)

Il sole era già alto nel cielo quando Altea fece ritorno. Sedeva su un carretto trainato da mulo attempato, insieme a un uomo massiccio dalle nocche nodose. Dietro di loro, un ragazzo stava seduto a braccia incrociate, anche lui robusto, in tutto simile all'uomo che teneva le redini, salvo che per il colore della pelle, leggermente più scura. Era cresciuto molto dall'ultima volta che Altea lo aveva visto.
Quando il carro si fermò a pochi passi da Idia e Thalia, Altea scese con più agilità di quanto si sarebbe dovuta concendere. Una fitta alla schiena venne a ricordarle la sua età. 

«Perdona il ritardo mia signora, ma la moglie di Dioneo aveva qualche remora sulla nostra destinazione.», si giustificò, sorridendo ai borbottii del grosso contadino.

Anche lui e il ragazzo saltarono giù dal carretto per rendere i loro omaggi alla regina. «Mia moglie non ha tutti i torti, però. La Fo...».

«Hai già dimenticato le mie raccomandazioni, Dioneo?» Altea lo interruppe prontamente. Essere costretta ad alzare la voce la irritava sempre. «Sarai sordo e cieco durante questo viaggio, nonché muto, ora come al tuo ritorno.».

«Perdonami, saggia Altea, l'età irrigidisce la mente e scioglie la lingua, si sa.».

Altea gli concesse un sorriso di perdono, anche se avrebbe tanto voluto colpirgli la testa col suo bastone d'ebano.
«Siamo pronti per partire, mia signora.» Annunciò poi ad Idia. Per un attimo credette di vedere Thalia svenire, tanto era impallidita. Ma non accadde. La regina, invece, le si avvicinò con aria preoccupata, torcendosi una ciocca di capelli tra le dita.

«Rispetterò i miei propositi e non ti chiederò dove la porterai. - le sussurrò a un orecchio - Promettimi solo che sarà al sicuro. Ti prego.».

«Al sicuro e libera, regina.».

«Molto bene, allora.» Idia si allontanò, continuando a torcersi i capelli tra le dita. «Mi duole non poter venire con voi, ma se tardo ancora, il re comincerà a chiedersi dove sono, o peggio, manderà qualcuno a cercarmi.».

Altea annuì. Si era aspettata un'eventualità del genere. «Lascia almeno che Thestios ti scorti sulla via del ritorno. Penserò io a tutto.». Tese una mano a Thalia, accompagnando il gesto con un sorriso.

Ma la ragazza si strinse alla regina, le afferrò il braccio con entrambe le mani, sperando forse che nessuno avesse il coraggio di strapparla via dalla sua padrona.
Idia si chinò sulla sua ancella, ancora leggermente più bassa di lei, le scostò una ciocca riccioluta dal viso e glielo accarezzò, come farebbe una madre con una figlia.

Altea distolse lo sguardo, come se in qualche modo avesse potuto violare quel momento di tenerezza. Fece segno a Thestios, il solido figlio di Dioneo, di attendere lì accanto a lei, finché gli addii non fossero stati detti e le lacrime asciugate. Finalmente, Thalia si inchinò un'ultima volta fino a baciare i sandali della regina. Quando si rialzò, il volto era asciutto, la fronte liscia e le labbra ferme. Un passo dietro l’altro, raggiunse il carro e andò a sedersi nel vano posteriore, pieno di attrezzi da falegname.

«Sarà meglio andare, Venerabile Madre. Se non sono a casa per il tramonto, la mia sposa mi accoglierà a colpi di scopa.», avvertì Dioneo. «Gli dei ti proteggano, mia regina. Mio figlio di certo lo farà.». E con un inchino a Idia e una pacca sulla spalla di Thestios, il contadino andò a riprendere le redini dei muli.

Altea alzò i palmi al cielo a salutare la regina. «Non ti angustiare, mia signora. Mi prenderò molta cura della tua protetta e serberò il segreto. Lo faremo tutti.».

«Ne sono convinta.» Idia rispose con lo stesso saluto. «Non potrò mai ringraziarti abbastanza, saggia Altea.».

«Non ne avrai bisogno.» Così dicendo, anche Altea prese posto sul carro.

Quando finalmente partirono, Thalia rimase con la testa nascosta tra le braccia strette attorno alle ginocchia. Non si voltò neanche per un ultimo sguardo alla sua regina.  Sembrava non voler vedere niente di tutto quello che le accadeva intorno.

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domenica 1 novembre 2015

Libera (5)

In un altro momento Thalia avrebbe amato quell’abbraccio, ne avrebbe goduto ogni istante, tanto rare erano le occasioni per esprimere il suo affetto alla padrona. Ora, invece, se ne stava rigida, paralizzata dalla rabbia. Non aveva deciso lei di “unirsi e procreare”, lei non lo voleva quel bambino. La voce nella sua testa divenne un grido tagliente, tutti i suoi più oscuri desideri tornarono ad affastellarsi nella sua mente, così vividi che, se avesse avuto un coltello, Thalia avrebbe trovato la forza di attuarli. Perché, perché avrebbe dovuto sopportare tutto questo? Perché avrebbe dovuto vivere in esilio, lontana dall’unica parvenza di famiglia che avesse mai conosciuto? Calciope…Il pensiero andò a lei e realizzò che non l’avrebbe più rivista. E poi come avrebbe vissuto? Con chi? Sarebbe rimasta sola con l’incarnazione dell’uomo che l’aveva condannata.

Thalia si staccò dall’abbraccio della regina con uno strattone, ma riuscì a trattenere la furia fra i denti. Forse poteva ancora convincerla. «Mi signora – supplicò - deve esserci un altro modo. Non devi liberarmi di te, ma di questo.», e si artigliò il ventre con una mano. «Ho sentito altre schiave parlare di pozioni, rimedi…Sono ancora in tempo, non è troppo cresciuto perché abbiano effetto. Allora potrei tornare con te e tutto tornerebbe come prima! Non accadrà mai più, te lo prometto. Starò al fianco di Calcìope giorno e notte e il re non si accorgerà neanche della mia presenza.». Una valanga di parole, il tono concitato dell’ultima preghiera, come quella di un condannato a morte.

Adesso era Idia a fissarla un misto di orrore e compassione. «Tu non sai quello che chiedi, piccola mia. Non puoi uccidere la vita che ti cresce dentro senza uccidere anche una parte di te. Potresti pentirtene per il resto della tua vita.».

«Sono pronta a correre il rischio!».

«E se anche dovessi liberarti del bambino, di tuo figlio, che cosa faresti dopo? Eeta continuerebbe a tormentarti, saresti sempre una schiava e la mia protezione non varrebbe niente di fronte al comando del re.»

A questo Thalia non sapeva cosa rispondere, così Idia continuò. «Tua madre conosceva i pericoli che correva, dandoti alla luce, ma decise lo stesso di tenerti, soltanto per provare la gioia di stringerti tra le braccia, anche solo per poco. Io provai a nasconderla, ma ero giovane e ingenua e non ci riuscii. Quando fu portata via, mi fece promettere di prendermi cura di te. Ora ti sto dando la libertà, ed è il dono più grande che possa farti. Da oggi sarai tu a decidere della tua vita…e della sua.». La regina pose una mano su quella di Thalia, ancora poggiata sul ventre. Per un lungo istante le iridi verdi-azzurre della regina si incontrarono con quelle nere dell’ancella, e poi fu lei a cercare di nuovo l’abbraccio di Idia. 

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domenica 18 ottobre 2015

Libera (4)

Quando arrivarono al limitare del campo, Altea riprese finalmente a parlare: «Aspettatemi qui, mia signora. Conosco la famiglia che si occupa del campo. Abita in quella casa laggiù. Più di una volta ho curato la padrona e i figli che sono nati da lei. Il suo sposo ci aiuterà a raggiungere il posto che ho in mente.».

Idia annuì senza l’ombra del dubbio. Thalia invece rimase a testa bassa, le mani sul piccolo ventre. Aspettò che la sacerdotessa si fosse allontanata abbastanza, prima di emettere un bisbiglio stentato: «Perché?». Quella parola le ronzava in testa da quando aveva capito di essere incinta, ma solo allora la lasciò uscire.

Idia le rivolse uno sguardo confuso. «Come dici?».

Thalia si coprì allora il volto con le mani e iniziò a piangere. «Mia signora…perché…perché mi abbandoni? Ti prego…Non farlo!». La voce usciva a singulti, rimbombando nella coppa delle mani.

 Idia sospirò nervosamente. «Preferisci tornare al palazzo e diventare una delle concubine del re?».

A quella prospettiva, Thalia sentì nuovamente bruciare la cicatrice sotto il seno, il marchio di Eeta. Non riusciva a smettere di piangere, le lacrime sgorgavano contro la sua volontà. Quanto avrebbe voluto avere la forza di fare ciò che le sue fantasie le suggerivano!

«Io voglio restare con te, padrona!», riuscì a supplicare tra un singhiozzo e l'altro. 

La regina le si avvicinò e lei fu pronta a ricevere un abbraccio, forse l'ultimo. E invece Idia la afferrò saldamente per le spalle, costringendola a fissare gli occhi nei suoi. Erano duri come due pietre d'acquamarina. 
«Pensi davvero che ti permetterei di rimettere piede nel letto di quel...di mio marito? Pensi che ti voglia abbandonare, Thalia? Io ti sto liberando! Non sarai più la schiava di nessuno e, credimi, non sono molte le padrone disposte a privarsi della propria ancella, soprattutto dopo averla cresciuta e protetta per quasi quindici anni!»

Thalia adesso provava vergogna. Sapeva di dover essere grata alla sua padrona, ma quel senso di abbandono non voleva andarsene. Dove l’avrebbe portata la sua libertà?

Idia continuava a stringerle le spalle, con forza ma senza farle male. Attese che i singhiozzi diminuissero e poi le prese il mento tra le dita. I suoi occhi adesso erano due polle d'acqua cheta. «So che molte volte ti sei chiesta chi fossero i tuoi genitori o dove fossero. Non ti ho mai rivelato niente, né ho permesso che altri lo facessero, perché ho sempre voluto proteggerti.» Thalia ebbe l'impressione che anche la regina fosse sul punto di piangere. «Eri una bambina così graziosa, così buona. Ma poche settimane dopo la tua nascita, Eeta mandò i suoi uomini a prendere i tuoi genitori, li fece picchiare, torturare e poi li vendette a mercanti fenici. Non fece lo stesso con te solo perché io lo implorai di tenerti con me.». 

Thalia non piangeva più, gli occhi le bruciavano ancora, ma erano asciutti. “Perché?” Di nuovo quella parola nella testa, ma stavolta sembrò che anche la regina potesse udirla. 

Idia la abbracciò come non aveva mai fatto prima, così stretta che Thalia poteva sentirne il profumo dell’olio di rosa sulla pelle. «Gli schiavi non possono unirsi e procreare senza il permesso del padrone. Questa è la legge nella casa di Eeta. E il re conosce molti modi crudeli per applicarla. Immagina cosa farebbe a te, piccola mia. Eeta non ammetterebbe mai di essere...il responsabile. Ti punirebbe insieme a un altro schiavo di sua scelta. Vi farebbe implorare la morte e poi vi venderebbe. E io non posso permetterlo, non stavolta.». 

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domenica 4 ottobre 2015

Libera (3)

L’incontro tra Idia e Altea era ovviamente andato a buon fine, nonostante Thalia aveva pregato con tutte le sue forze di veder tornare la sua regina da sola e delusa. Strinse le labbra tra i denti perché non tremassero.
Idia le avvolse le spalle con un braccio. «La Venerabile Madre ha accettato di accoglierti e prenderti al suo servizio. Starai bene, Thalia. La saggia Altea conosce un luogo sicuro, dove potrai vivere in pace e dare alla luce il tuo bambino senza timori…».

«E la Grande Hera veglierà su di te attraverso questa sua umile serva.», intervenne Altea, per unirsi alle consolazioni della regina.

«Sì, mia signora.», mormorò l’ancella. Era questo che doveva rispondere, sempre. Obbedire e nient’altro, era tutto ciò che conosceva. E fino ad allora le era andato bene. Ma quel giorno Thalia sentiva più forte dentro di sé il desiderio di urlare, vomitare tutti i “no” che non aveva mai potuto dire. Una forte nausea le rivoltò lo stomaco, ma il bambino non c’entrava. Erano le paure, che si incalzavano l’un l’altra, si accavallavano e ammassavano in un macigno di pura tensione nelle sue viscere.

Che cosa ne sarebbe stato di lei, si chiedeva. Che cosa avrebbe fatto, lontana dalla sua regina, bandita dall’unica casa che avesse mai conosciuto? Sarebbe voluta scappare, ma per andare dove? I suoi genitori, non li aveva mai conosciuti. Non aveva radici tra i Colchi ed era rifiutata dai Greci. Si sentiva impotente, trascinata dal destino come una foglia da un fiume in piena. 

Eppure Thalia continuava a obbedire, silenziosa. Metteva un piede davanti all’altro, quasi fosse davvero spinta da una corrente invisibile, e seguiva la regina e la sacerdotessa che si avviavano fuori dal tempio, oltre il recinto sacro. Per un po’ le sentì mormorare, poi le loro voci non furono altro che un sottofondo indistinto ai suoi pensieri plumbei.

Pensieri violenti, come mai ne aveva avuti prima di allora. Avrebbe dovuto ficcarsi un coltello tra le viscere ed estirpare quella creatura indesiderata, invece di deturparsi inutilmente le braccia. Si guardò le cicatrici che si diramavano dai polsi all'interno dei gomiti e si sentì una stupida. Aveva bevuto pozioni nauseabonde fino a farsi rivoltare lo stomaco, ma niente. Quell'essere continuava a crescerle dentro, la derideva dal suo alveo sicuro, Thalia poteva quasi vederlo.

La linea azzurra del mare in lontananza spazzò via quelle visioni, come fossero fatte di fumo, e le rimpiazzò con desideri altrettanto inaspettati. Thalia sentiva una voglia irrefrenabile di correre giù per il pendio del colle, attraversare la città, urlando maledizioni ad Eeta, e infine buttarsi in mare e nuotare fino ai confini dell’Oceano. Fantasie, stupide fantasie che si diradarono con altrettanta facilità quando la regina e la sacerdotessa la costrinsero a voltare le spalle al mare.

Erano intanto giunte alla strada mattonata che portava al molo, ma non la seguirono. La attraversarono e tornarono a salire sulle pendici del grande colle, di cui il tempio occupava solo una piccola parte. Tutto intorno era una distesa di campi coltivati, sostentamento tanto per il palazzo del re, quanto per i templi che lo circondavano.
Si inoltrarono in un folto campo di grano maturo, quasi pronto per la mietitura. Thalia si guardava intorno, smarrita, e la regina sembrava disorientata quanto lei. La sacerdotessa, invece, continuava a procedere in silenzio, con passo sicuro. 

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domenica 20 settembre 2015

Libera (2)

Thalia sarebbe andata via, Idia ne era finalmente certa.

«Quanto lontano?», osò chiedere senza alzare lo sguardo dalla tazza.

«Quanto tu desideri, mia signora. Tanto da permetterti di vederla ogni giorno senza sforzo, oppure così lontano che ogni Greco della regione ne ignorerà l’esistenza…Sta a te decidere.», ribadì Altea fermamente.

Idia si torse una ciocca di capelli tra le dita. Sentiva di aver già preso una decisione, ma non trovava il coraggio per pronunciare le parole necessarie. Arricciò il naso quando le lacrime affiorarono. «Per il suo bene, che vada dove neanche io posso raggiungerla. Per il suo bene.», ripeté più a se stessa che ad Altea.

«D'accordo, allora. - acconsentì la Venerabile - Conosco un luogo...»

«Ti prego, Madre, non dirmelo. - la interruppe Idia, facendo quasi cadere la tazza - Se non so, non avrò tentazioni, né potrò rivelare alcunché.»

Altea distese la fronte, comprensiva, e annuì.

«Mi fido del tuo saggio giudizio, Madre Altea. Ti ringrazio.». La regina tirò un sospiro di sollievo, le spalle rilassate, come appena liberate da un peso. 

Altea sorrideva. «Porta da me la ragazza quando preferisci. Sarà accolta e curata volentieri, non diversamente dalle altre future madri che vengono qui in cerca della protezione della Grande Hera.». Con un ampio gesto del braccio invitò la regina ad accompagnarla fuori dall’alloggio e a tornare insieme a lei nel tempio.

Idia si alzò, ma non mosse un passo. Si lisciò la tunica amaranto, invece, e si schiarì la voce: «A dire la verità, Thalia è già alle porte del tempio ad aspettarci. Non volevo farla entrare senza il tuo consenso, ma…».

«…ma non avresti accettato un mio rifiuto.», concluse Altea, dando voce ai pensieri inespressi di Idia. «Sarà meglio farla entrare, allora, prima che questo sole cocente le offuschi i sensi.». Riprese lo scettro d’ebano appoggiato accanto alla porta della camera chinò la testa e attese che Idia la precedesse.

Le due donne attraversarono in silenzio il piccolo orto di erbe medicamentose che separava la piccola casa di Altea dalle mura imponenti del tempio. Ad attenderle tra le colonne del peristilio, il colonnato che circondava il recinto sacro, stava Thalia, in muta attesa all’ombra di una colonna. Non aveva osato mettere piede nella casa di una dea greca. Un leggero rigonfiamento all’altezza del ventre le deformava la tunica color croco, ma di certo non si sentiva come una donna in dolce attesa avrebbe dovuto sentirsi: lei quell'attesa non la voleva. Non appena vide arrivare la sacerdotessa e la regina, Thalia accennò a un inchino nervoso, lo sguardo basso, sempre più umido.

«Benvenuta nella casa della Grande Madre Hera, giovane Thalia.», la salutò Altea, rivolgendole un sorriso affabile.

La ragazza si sforzò di ricambiare, ma non riusciva a fare a meno di guardare con apprensione la sua regina. 

Continua...