domenica 21 giugno 2015

Un nuovo giuramento (1)

“La corda è troppo dura, maledizione!”. Atalanta emise un grugnito di frustrazione: la freccia continuava a oscillare sull’impugnatura, instabile sulla corda ostinatamente tesa.  La ragazza non aveva mai usato l’arco del padre, troppo grande per le sue braccia ancora sottili e rese più deboli dalla veglia e dal lungo viaggio.

Dopo le esequie dei suoi genitori, aveva preso qualche provvista, si era messa in spalla l’arco di suo padre e aveva iniziato a seguire le tracce lasciate dai cavalli di Neleo e Roikos. Aveva corso per ore e ore, senza concedersi neanche un momento per riposarsi, per mangiare o rinfrancare gli occhi ancora arrossati dal fumo del rogo. Il pensiero di ritrovare i due assassini e suo fratello le aveva dato la forza di andare avanti per tutta la notte e il giorno successivo, finché le tracce non l’avevano condotta alle porte di Iolkòs. 

Era giunta al tramonto, ma la gente sembrava restia a cercare il riposo. Le strade fibrillavano di una strana frenesia, c'era un gran via vai di falegnami, fabbri e allevatori, dai quali Atalanta era riuscita a percepire poche frettolose parole. "Funerale", "sacrificio", "pira": qualcuno di importante doveva essere sceso nell'Ade. Una fortuna inaspettata, per quanto la riguardava. In tutto quel trambusto, nessuno aveva fatto caso a una ragazzina stanca e sporca, che si aggirava per le strade in mezzo a tanti altri orfanelli, scorrazzanti tra le botteghe e i banchi del mercato. 

Purtroppo seguire le tracce di due cavalli per le strade della città si era rivelata un’impresa non facile, a causa degli innumerevoli solchi lasciati dai carri, delle impronte di persone e di chissà quanti altri cavalli. Atalanta aveva continuato ad aggirarsi per le vie fino a sera inoltrata, senza riuscire a trovare il ben che minimo indizio del passaggio delle sue prede. Stanca e delusa, si era accasciata davanti alla porta di una bettola. Era sul punto di arrendersi all’impossibilità della sua ricerca, quando qualche dio decise di venirle in soccorso.

Barcollando, era uscito dalla locanda un uomo maleodorante di vino e urina, che urlava tra i rigurgiti della sbornia. «Neleo, figlio di una cagna…Sei morto, tu e i tuoi bastardi, tutti…Oh, sì…Avrò i tuoi soldi, puoi scommetterci, schifoso pezzo di sterco…Li avrò…». E giù un rutto.

Tenendosi rasente al muro per non crollare, si era inoltrato in un vicolo, dove aveva iniziato a sciogliersi la cinta della tunica corta. Era talmente intontito, che Atalanta non corse alcun pericolo di farsi scoprire, mentre gli si piantava dietro le spalle. Nel momento in cui l'energumeno aveva poggiato la fronte ad una parete sudicia per liberarsi la vescica,  Atalanta aveva tirato fuori il suo pugnale e gli aveva reciso con un colpo secco i tendini dietro le ginocchia. Il maleodorante beone era crollato con un tonfo su una pozza del suo stesso sangue. Non aveva neanche avuto il tempo di lanciare un grido, perché Atalanta gli aveva tappato la bocca con una mano, mentre con l’altra gli premeva la lama del pugnale contro il collo flaccido. 

«Dimmi dove posso trovare l’uomo che chiami Neleo, o la mia sarà l’ultima voce che sentirai!», gli aveva ringhiato all’orecchio, la voce goffamente camuffata.

«Chi sei? Che cosa…?».

«Rispondimi! Dove si trova Neleo?». Atalanta aveva aumentato la pressione del ferro sulla gola dell’ubriaco, troppo confuso e spaventato per riconoscere una ragazzina nel suo aggressore.

« È…è lì, nella taverna. Stavamo giocando ai dadi e…».

«Se scopro che mi hai mentito, verrò a finire il lavoro e ti assicuro che non sarà né veloce né indolore!». Atalanta era sgusciata via dal vicolo senza lasciare traccia, lasciando l’uomo a chiedere pietà a un demone inesistente.

Continua...

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