domenica 24 maggio 2015

Morte e speranza (1)

Due estati e due inverni erano trascorsi dall’ultima volta in cui una simile pletora di gente aveva gremito la costa di Iolkòs: allora, nel lido alle falde dell’acropoli, si era celebrata l’ascesa al trono di Esone, figlio di Creteo, e della sua sposa Polimede. 

Quella mattina, invece, si piangeva la prematura morte del re e del suo unico erede, il piccolo Iason, così come l’araldo aveva annunciato un paio di giorni prima. A pochi metri dal mare era stato innalzato un rogo imponente, sul quale giacevano i corpi di padre e figlio, completamente avvolti in un sudario bianco impregnato di oli profumati. Il viso del re era celato da una maschera d’oro, scintillante ai raggi del primo mattino.

Il popolo, in muta attesa, pendeva dalle labbra di Pelias che, torcia alla mano, si era avvicinato alla pira per porgere il suo estremo saluto al fratello e al nipote defunti. Dietro di lui, una schiera di figure in nero. Da un lato, sua moglie Annassibia teneva per mano due bambini, un maschio di circa sei anni e una bambina poco più piccola, entrambi dai capelli neri e gli occhi azzurri come il mare d’estate. Un velo nero ondeggiava sulla testa della nuova regina, senza riuscire a nascondere del tutto la cascata di boccoli dorati. Poi veniva Neleo, il fratello del nuovo re di Iolkòs, affiancato da pochi uomini ritti in piedi alla sua destra, vestiti di pesanti tuniche nere. 

E infine Polimede, la regina vedova, sedeva su uno scranno di legno, il volto coperto da un velo nero, a nascondere lacrime inesistenti. Non piangeva, né aveva voluto accanto a sé prefiche che si graffiassero il viso e si strappassero i capelli, com’era d’uso nei momenti di lutto. 
Guardava fisso la maschera d’oro splendente che ricopriva il volto del marito sopra il telo bianco. Avrebbe voluto strapparla via e gettarla tra la folla, mostrando così lo squarcio sulla gola del suo re, celato sotto di essa. Ma non poteva muoversi, anche se nessuno la tratteneva. Le ferite alla schiena si rimarginavano molto lentamente, causandole un dolore sordo, presente giorno e notte, che andava a mescolarsi con quello del suo cuore spezzato. Da quando si era risvegliata sotto lo sguardo di Pelias, non era ancora a riuscita a muovere le gambe, neppure un dito del piede, e quel pensiero l’angosciava quasi quanto la preoccupazione per suo figlio. 

“Dove sei, piccolo mio?”, continuava a chiedersi. “Chi si prende cura di te? Hai freddo, fame, paura?”
Eppure un pensiero spiccava tra tutti: Iason era vivo. Perso chissà dove, solo o in compagnia, ma vivo. Non era certo tra le fredde braccia del suo sposo. 

Continua...

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