domenica 4 gennaio 2015

Nuove vite (1)

Lo strazio di Idia riecheggiava tra le mura del palazzo. Le doglie erano iniziate al sorgere del sole e duravano ancora al sopraggiungere della sera. Dopo il tramonto, il dolore si era fatto insopportabile, ma la regina rifiutava qualsiasi droga le maie volessero somministrarle. Aveva aspettato quel momento per quasi nove mesi e voleva essere lucida, quando sarebbe arrivato suo figlio. Ma mettere al mondo la sua creatura si stava rivelando più difficile di quanto ricordasse. Sei maie circondavano il suo letto, intonando preghiere propiziatrici per allontanare il male dal corpo della regina. Thalia, la sua ancella, le stava accanto, tergendole il sudore dalla fronte con un panno, mentre una donna stava ai piedi del letto per aiutarla nel parto. Era Dafne, la nutrice.
Era una donna alta ed esile, fragile a un primo sguardo, ma autoritaria nei gesti e nella voce. Doveva aver visto non più di trenta inverni ed era tra le guaritrici più esperte della Grecia, giunta in Colchide anni prima, per assistere la regina alla sua prima gravidanza dietro volere di Eeta. Non aveva mai preso il velo delle nozze, né aveva figli propri, ma si diceva che avesse fatto nascere centinaia di bambini, salvandone sempre le madri. Aveva uno sguardo costantemente esausto, a volte perso nel vuoto, forse per via del suo incessante lavoro di levatrice, ma i suoi modi schietti e i movimenti decisi avevano sempre un effetto rassicurante sulle sue pazienti. Eppure in quel momento persino il volto di Dafne tradiva una profonda preoccupazione: il bambino aveva difficoltà a lasciare il corpo della madre, ormai stremata. 

«Coraggio, mia signora! – la nutrice incoraggiò la regina – Riesco a vedere la testa! Spingi con tutte le tue forze e presto sarà finita!».
Idia conficcò le unghie nelle lenzuola fin quasi a strapparle e, rovesciando la testa indietro, lanciò un grido così acuto da far tremare le pareti della casa. 
«Resisti, padrona!» Thalia le reggeva le spalle e anche lei cercava di confortarla con la sua voce sottile.
Ancora un urlo. Poi un altro. Il viso della regina cominciava a farsi livido per lo sforzo. La litania delle maie era sempre più concitata.
«Eccolo, mia signora!» Dafne finalmente distese la fronte e, tenendo saldamente il neonato tra le mani, diede sfogo al suo sollievo in una risata di petto.
Idia quasi non riusciva a crederci. «Come sta? Che cos’è?», chiese, dimenticando per un attimo il dolore lancinante al basso ventre. 
«Sta benissimo, signora – rispose la nutrice, porgendo il bambino alla madre – Ed è un bel maschio, forte e sano. Senti come urla!».
Il piccolo, strappato al tepore del ventre materno, vagiva con una vocina stridula. Idia lo accolse tra le braccia con un sorriso sofferente, mentre Dafne recideva il cordone ombelicale. 

Il bambino adesso emetteva dei dolci mugolii, stropicciandosi gli occhi ancora chiusi con piccolissime mani raggrinzite. Era il momento che Dafne preferiva, guardare la madre in quell'espressione di estasi che a volte le provocava una piccola fitta di invidia alla bocca dello stomaco. Ma stavolta la nutrice non poteva abbandonarsi alla contemplazione.
Qualcosa non andava come doveva. Dafne continuava ad esaminare l’intimità della regina, aspettando che il suo corpo si liberasse della sacca in cui il bambino era cresciuto. Restò lì ad aspettare a lungo, percependo i propri battiti accelerare ogni due respiri. Se la madre non fosse riuscita a liberarsi, avrebbe continuato a perdere sangue fino a morirne. 
“E poi un ventre così grande per un esserino così piccolo…”, osservò tra sé e sé la nutrice. In effetti, a guardarlo bene, il neonato non era più grande dell’avambraccio della madre. Dafne non aveva comunque intenzione di turbare la regina con le sue preoccupazioni. Finalmente, dopo aver contemplato per un po’ suo figlio e averlo consegnato alle maie perché lo lavassero, si stava abbandonando al riposo, poggiando la testa sui cuscini fradici di lacrime e sudore. 

Anche le maie si erano concesse una tregua e mentre una di loro si occupava del principe neonato, le altre iniziarono a rassettare la stanza, aiutate da Thalia, che correva da un angolo all'altro della stanza come un furetto. Dafne, invece, non si muoveva, restò in attesa davanti alle gambe della regina.
Aspettò e aspettò ancora, finché il tocco di una mano sulla spalla la distolse da quell'immobile attesa. Era una delle maie, la più anziana, e Dafne poté leggerle in volto la sua stessa preoccupazione. La nutrice annuì, ma l'unico suono che emise fu quello di un sospiro. Doveva intervenire per aiutare la regina a espellere i resti della gravidanza, così le poggiò una mano sul ventre. 
In quel momento Idia fu strappata al suo sonno ristoratore da una nuova, acuta fitta di dolore. Sentì le viscere contrarsi, un rauco lamento le grattò la gola. Per un istante Dafne temette di averle fatto del male, ma quando guardò di nuovo tra le gambe della regina, capì.

«Mia signora – balbettò, gli occhi sgranati in un vivo stupore – C’è…c’è un altro bambino dentro di te!». Un prodigio che poche nutrici avevano la fortuna…o la disgrazia di vedere.
Il volto di Idia assunse lo stesso colore delle lenzuola. Due gemelli! Rare erano le donne che riuscivano a sopravvivere al parto di due bambini, lo sapeva bene. Il cuore stretto dalla paura, non riusciva a pensare ad altro che ai suoi figli. Non voleva abbandonarli. Non poteva.
Invocò Artemide, la Vergine Cacciatrice, protettrice delle donne in travaglio. Invocò Hera, dea del matrimonio e Demetra, dea della fertilità. Invocò tutti i Dodici Dei, mentre il dolore delle contrazioni tornava ad aumentare. 
Dafne si scostò una ciocca di capelli neri dalla fronte imperlata di sudore e si rimise all’opera, pronta ad affrontare la prova. «Coraggio, mia regina: devi ricominciare a spingere. Andrà tutto bene, te lo prometto.». Ma stavolta parlò con molta meno sicurezza. 

Idia si rialzò sui gomiti, mordendosi a sangue le labbra, mentre Thalia la raggiungeva di nuovo a stringerle una mano tra le proprie. La fatica era spossante. Il dolore accecante. Tutte le visioni notturne degli ultimi mesi le tornarono in mente all’improvviso e con esse tutta l’angoscia, che a stento era riuscita a dimenticare. Non le restò che volgere gli occhi al cielo e supplicare con la voce rotta: «Madre Teti, aiutami!». 
Un ultimo, sovrumano grido ed il pianto di un altro neonato si unì a quello della madre.

Continua...

Nessun commento:

Posta un commento